Storia della tradizione delle Alte Terre

Forza, pazienza e astuzia

Guru Tashe era un uomo nobile e coraggioso. Viveva, nel tempo lontano lontano delle leggende, in una valle stretta tra altissime montagne. Aveva tre figli, famosi per la loro forza. Un pomeriggio, mentre osservava il cielo dalla terrazza della sua casa, notò un uccello che volava in grandi cerchi sopra di lui, poi scendeva in picchiata e puntava verso Sud-Ovest. E strideva con una voce che a un certo punto divenne quasi umana. La voce diceva: Sakya. Vai a Sakya. Presto. A Sakya… Guru Tashe capì che quello era un messaggio degli dèi e si inchinò profondamente in segno di rispetto verso quel messaggero alato. Allora l’uccello sfrecciò via nel cielo viola del tramonto.

Guru Tashe partì subito insieme ai suoi tre figli. Montarono a cavallo e si diressero verso Sud-Ovest, dove si trovava Sakya. Quando ci arrivarono, scoprirono che laggiù stavano costruendo un monastero ma erano in grande difficoltà.

Il capo dei sacerdoti era molto preoccupato. Spiegò che aveva fatto arrivare dai quattro angoli della regione quattro pilastri per sostenere la grande sala del monastero. I pilastri erano magnifici ma, ahimè, nessuno riusciva a metterli in piedi. – Migliaia di uomini robusti ci hanno provato, unendo le loro forze, ma nessuno è riuscito nell’impresa. – I miei figli ci riusciranno – disse Guru Tashe. Si fece avanti il figlio maggiore, che era grande e grosso, e quando si tolse la giubba la gente fece: – Ooooh! – per lo stupore, tanto questi era muscoloso. Poi la gente fece ancora: – Ooooh! – ma questa volta per la delusione, quando il figlio maggiore, spossato, rinunciò. Nonostante tutti i suoi sforzi, il pilastro non si era sollevato nemmeno di quel che sarebbe bastato a farci passare sotto una formica.

Allora si fece avanti il secondogenito. Anche lui era grande, grosso e muscoloso e anche lui fallì.

Toccava al più giovane, che si chiamava Khye e non era robusto come i suoi fratelli, ma riuscì nell’impresa. Piano piano, stringendo i denti, sollevò il primo pilastro e poi il secondo e poi gli altri due. La gente di Sakya, esultante, gli diede il nome di Khye Bumsa, cioè “più forte di diecimila uomini”. Khye Bumsa divenne famoso per quest’impresa e per molte altre che vennero dopo, in cui sconfisse uomini cattivi e persino spiriti malvagi. Nel suo cuore però abitava la tristezza e il motivo era che non aveva figli, né maschi né femmine.

Un giorno incontrò un uomo saggio, che passava le giornate meditando e pregando. Costui notò subito che qualcosa angosciava Khye Bumsa e quando seppe la ragione gli consigliò di chiedere aiuto al capo dei Lepcha. – Vai nella regione del Sikkim e cerca il capo dei Lepcha – gli disse. – Non sarà facile incontrarlo, perché non gli piace essere riconosciuto dagli uomini. Ma se lo troverai, lui ti darà quel che il tuo cuore desidera. Khye Bumsa raggiunse i territori dei Lepcha e a tutti chiedeva del loro capo. Nessuno però sapeva dargli indicazioni. Khye Bumsa non si arrese e andava, andava. Era sempre più scoraggiato, ma non si fermava. Un giorno, arrivato in un posto chiamato Gangtok, notò un vecchio che preparava il terreno per piantarci i semi.

Si inchinò con grande rispetto e gli domandò: – Scusa nonno, sai dirmi per caso dove posso trovare il capo dei Lepcha? – Il capo dei Lepcha? – ripeté quello con l’aria di uno che non ha capito bene. – Proprio lui. Sai dove posso trovarlo? Il vecchio di nuovo lo scrutò con un’espressione sciocca. – So dove puoi trovarlo? – mormorò sorridendo come a se stesso. – Non importa, grazie lo stesso – disse Khye Bumsa e si allontanò pensando che quel tipo era un po’ tonto, poveretto. Non aveva fatto molti passi, che un pensiero gli balenò nella mente e lo fece riflettere. Il vecchio in realtà non aveva negato di sapere dove si trovasse il capo dei Lepcha. Si era limitato a ripetere le sue parole, senza rispondere. La cosa lo insospettì. Si nascose perciò poco lontano dal campo e aspettò pazientemente che il vecchio avesse finito il suo lavoro. Poi, senza farsi notare, lo seguì lungo il sentiero e quando furono arrivati alla misera capanna che era la sua casa, anche lui si infilò dentro la porta insieme al vecchio. Con sua grande sorpresa si ritrovò in una magnifica sala, tutta decorata e sfavillante di luci. In mezzo stava un trono e proprio lì andò a sedersi il vecchio mentre i suoi vestiti laceri si trasformavano in abiti regali, di seta intessuta con fili d’oro. Era proprio lui, il capo dei Lepcha! Khye Bumsa gli fece un profondo inchino e chiese la sua benedizione.

– Sei un uomo astuto quanto forte – disse il capo sorridendo. – Ti concederò quello che chiedi. E poiché sapeva leggere nei cuori e nelle menti non ebbe bisogno di domandargli che cosa desiderasse. – Avrai tre figli – gli disse. – Uno di loro governerà dopo di te, anche lui con grande saggezza e i popoli di queste terre vivranno in pace e prosperità. Così fu. Ecco perché ancora si racconta la storia di Khye Bumsa, che fu tanto forte da riuscire dove diecimila avevano fallito e che grazie alla sua pazienza e astuzia ottenne per il suo popolo pace e prosperità.

Testi di Maria Vago, disegni di Marcella Grassi

 

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